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#neindefacose - Cinema - Recensione film "The Wife – Vivere nell’ombra" di Björn Runge

Non è facile raccontare le donne senza scadere nella banalità degli stereotipi o di storie già sentite. Nel caso di The Wife – Vivere nell’ombra, il nuovo film dello svedese Björn Runge, al di là del gran parlare prima dell’uscita, ho pensato che Glenn Close nel cast fosse la garanzia che mi ci voleva per andare a vedere il film.
 
È lei Joan, la moglie. A dispetto del titolo, però, non si riesce mai a percepirla come la protagonista effettiva della storia. Il signor Joe Castleman, suo marito, sarà per tutto il film a dir poco ingombrante.
 
Joe Castleman è un attempato scrittore americano di origine ebraica, ormai famoso e amato per la sua ricca e intensa attività letteraria. Un successo sempre vissuto in compagnia della moglie, che è al suo fianco anche quando gli arriva la telefonata da Stoccolma con cui viene invitato a ritirare il Premio Nobel per la Letteratura.
Cosa c’è realmente dietro quel premio? Durante il viaggio in Svezia Joan ripercorre, attraverso i suoi ricordi, la sua storia con Joe. Si rivede moglie devota, nonostante i tradimenti subiti e la capricciosa vanità del marito. Si ripensa madre non abbastanza attenta. Si ritrova costretta dalla società e dall’amore per Joe a soffocare le sue ambizioni e il suo talento di scrittrice. Dopo la premiazione Joan, però, non ce la fa più a recitare il suo ruolo. Non regge più il peso dei silenzi.
Saltano così gli equilibri in cui marito e moglie avevano, per anni, incastrato le loro vite e quelle dei loro figli. Ognuno urla la sua verità. Sembra arrivato il momento per Joan di rivendicare ciò che è suo, in un crescendo di emozioni che, però, vengono smorzate da un finale quasi irritante.
 
A fare da sfondo all’intreccio, spesso prevedibile, c’è un’eco importante e attualissima: l’emancipazione femminile declinata nei rapporti moglie-marito, donna-lavoro, donna-società che sconfinano a volte l’uno nell’altro. Da qui ambizione, sacrificio, genio creativo, letteratura.
 
Joe Castleman, ben interpretato da Jonathan Pryce, incarna il classico uomo che nasconde le sue fragilità e debolezze dietro vizi, tradimenti, giochi psicologici, egoismo. Anche il rapporto con la moglie, frutto di questi meccanismi, può dirsi di routine nel mondo reale. In ogni occasione pubblica non manca di ringraziare la sua dolce metà ma, di fatto, non le riconosce mai il suo valore vero.
Joan lo lascia splendere della sua luce riflessa, crea la condizione migliore per essere comunque, in qualche modo, sé stessa.
Nonostante sin dall’inizio si delinei la figura di una donna interessante, non oppressa ma comunque forte anche nelle sue scelte e consapevolezze, nonostante ci siano grosse àncore con la realtà, la sceneggiatura di Jane Anderson, basata sull’omonimo romanzo di Meg Wolitzer, non riesce a focalizzare e districare con chiarezza e carattere il vero messaggio della storia.
 
La narrazione è abbastanza lenta per gran parte del film, seppur attraverso ambientazioni curate e musiche ben scelte. Lascia comunque crescere le aspettative ma proprio verso la fine, quando ci si aspetterebbe finalmente la soluzione emotiva al racconto, tutto si spinge in avanti troppo velocemente e si chiude in modo alquanto insapore.
Probabilmente da donna, mi sarebbe piaciuto essere sorpresa almeno da un finale ad effetto, che riscattasse tutte le donne nell’ombra. Con prepotenza.
 
Per fortuna c’è una straordinaria Glenn Close che interpreta con naturalezza e passione il suo personaggio. Lei no, non delude.
 
Rosalba Carchia