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#neindefacose – Serie tv – Recensione “Only Murders in the Building” – Stagione 2

Col sorriso e l’impazienza di una bambina che sta per gustarsi il suo gelato preferito, ho guardato la tanto attesa seconda stagione di “Only Murders in the Building” , la serie tv creata da Steve Martin  e John Hoffman visibile su Disney+.

Dove eravamo rimasti.
Nella scena finale della prima stagione Charles (Steve Martin) e Oliver (Martin Short) ricevono un misterioso sms che li invita ad uscire subito dall’Arconia, il condominio dell'Upper West Side a Manhattan dove abitano. Cercano Mabel (Selena Gomez), tornata nel suo appartamento per prendere un’altra bottiglia di champagne e la trovano accanto al cadavere di Bunny Folger (Jayne Houdyshell), la perfida amministratrice di condominio.
Sipario. Fine prima stagione.

La seconda stagione inizia con l’interrogatorio del nostro trio di indagatori del crimine che, paradossalmente, è sospettato di omicidio, proprio quello di Bunny Folger. Il tipo di ferite, il sangue sui suoi vestiti e la sua presenza quando è stato scoperto il cadavere, sono tutti indizi che portano dritti a Mabel in particolare. Si dichiarano tutti innocenti e non essendoci prove schiaccianti, i tre vengono rilasciati. Ovviamente si rimettono al lavoro per smascherare il vero assassino di Bunny, riprendendo anche la registrazione del loro podcast. Questa volta però è un po’ diverso: sono ufficialmente sospettati dell’omicidio; qualcuno sta cercando di incastrarli creando ad hoc una serie di prove contro di loro; sono essi stessi i protagonisti di un podcast rivale che li mette in discussione. Dunque rischiano, oltre che di essere accusati di omicidio, di compromettere la loro reputazione agli occhi dell’opinione pubblica che li segue e li ama.

Le piste d’indagine sono molte, l’intrigo coinvolge anche un quadro misterioso e il pappagallo della vittima. In più all’Arconia approdano nuovi inquilini e nuovi personaggi, ingarbugliando ulteriormente la situazione. Amy Schumer, che interpreta sé stessa, prende il posto e l’appartamento che nella prima stagione sono stati di Sting mentre la magnifica Shirley McLaine si presenta come l’eccentrica madre di Bunny. Tanto per rimanere in tema di qualità, si inserisce anche Cara Delevigne nel ruolo dell’artista londinese Alice che contatta Mabel via Social per poi stringere un rapporto particolare con lei. Anche il ritorno di Jan (Amy Ryan) la fagottista e di Teddy Dimas (Nathan Lane) non sono certamente casuali.

Se il cast rimane d’eccezione, i tre personaggi principali si fanno più familiari svelando qualche dettaglio in più della loro storia personale attraverso flashback, incontri inaspettati, segreti del passato, debolezze. Un tassello in più tra la suspense e l’ironia.

La formula numerica di dieci puntate ognuna di trenta minuti, secondo me perfetta per mantenere alta l’attenzione, si ripete in questa seconda stagione anche se a volte, data la trama più intensa, può sembrare troppo compressa. Probabilmente, soprattutto nella prima parte, ci sono un po’ troppi fili logici da seguire. Nell’intreccio narrativo l’arte del confondere lo spettatore si sviluppa ulteriormente, tant’è che sia il mistero sia le molteplici verità plausibili sull’assassino di Bunny Folger non si sbiadiscono fino alla fine. Per fortuna la classica prevedibilità di una seconda stagione è quasi inesistente e la noia è non pervenuta. C’è un però. Rispetto alla prima stagione, la risoluzione del caso, per quanto sempre spettacolare, ha un po’ tradito le mie aspettative. Non ho provato la stessa sensazione di improvviso stupore che ti lascia a bocca aperta. Nonostante tutto questo, devo ammettere che la magia dell’insieme non viene affatto scalfita perché la struttura c’è e regge alla grande.

Si confermano tutti gli elementi che fanno di “Only Murders in the Building” una serie dallo stile inconfondibile e unico: l’umorismo brillante che si ispira alla migliore comicità popolare vecchio stampo; l’equilibrio tra colpi di scena, riflessioni, mistero; il modello più classico della letteratura gialla che sta alla base, Agatha Christie in primis.

Mi è piaciuta molto la scelta di privilegiare un certo tipo di rappresentazione femminile. Le donne sono la categoria che inevitabilmente e inconsapevolmente più viene messa sotto la lente di ingrandimento, in ogni occasione. Non ci sono donne dalla bellezza irreale e irraggiungibile né donne dalla vita perfetta e né tanto meno si preferisce l’esatto contrario. Ci sono donne bellissime dalla fisicità finalmente “quotidiana”, che sono semplicemente sé stesse tra fragilità, sicurezze e unicità.

Devo dire che anche il cliché dell’uomo macho viene travolto dalla semplicità dei personaggi maschili che basano il loro fascino sulla normalità anche in questo caso e che vivono di sentimenti pulsanti a prescindere. A prescindere anche dal genere. Così com’è e come dovrebbe essere sempre, conta l’amore e basta. Tutto qua.


Ci sarà una terza stagione? Gli ultimi minuti della seconda stagione sembrano non lasciare dubbi: c’è un nuovo caso da risolvere. Stavolta tutto inizia (o finisce?) in uno spettacolo di Broadway con l’anticipazione di una new entry nella persona dell’attore Paul Rudd (ex marito di Phoebe in “Friends”). Se sia un altro depistaggio o meno ancora non lo sappiamo, ma sappiamo bene ormai che tutto può succedere.


Rosalba Carchia